martedì 2 marzo 2010

Dai poveri imparo sempre qualcosa

Ore 11: suona il campanello. "Sarà D***", penso, il ricercatore del Bangladesh che si trova in difficoltà perché ha finito i soldi della sua borsa di studio prima di conseguire il master per cui è venuto in Italia; mi aveva detto che sarebbe passato. Mi affaccio alla finestra: no, non è lui, ma un altro povero che conosco. E' un uomo di mezza età che mi soprende sempre perchè non chiede soldi, come la maggior parte, ma cibo, un panino... "Ho della pasta", gli dico dall'alto. Allarga le braccia: "E come la cucino?" Vado in dispensa: c'è poca roba, siamo in quaresima. Metto insieme due scatolette piccole di tonno, una di piselli, un arancio, una merendina, un torrone morbido che ho lì ancora da Natale. Mi sembra poco, e mi domando se l'accetterà. Mentre scendo le scale decido che oggi gli chiederò il suo nome. Guarda nel sacchetto, è tutto contento. "C'è anche il torrone..." "Com'è che non puoi cucinare? Dove vivi? Dove dormi?" "In centro: ho un sacco a pelo e una coperta". "Come ti chiami?" "Giovanni". "Sei di quà?" "Ora vivo quà ma sono nato in Sardegna; sono stato anche in Friuli, in Toscana e a Genova. Ho fatto le stagioni a Rimini". E' magro come un chiodo ma ha capelli e barba alla Carlo Marx; ha i vestiti logori ma non manca di una certa eleganza, soprattutto nelle scarpe. Gurda negli occhi solo per pochissimo, poi li distoglie e poi ritorna, con un misto di timidezza e irrequietezza. Lo saluto, stringendogli la mano. "Io sono don Paolo". "Lo so, è scritto sul citofono".

Ore 18.45. Sono a colloquio con due catechisti e due educatrici. Dal vetro scorgo un giovane asiatico che ho già visto. Anche lui mi vede, ma aspetta. Dieci minuti dopo sono solo e il ragazzo entra. Una settimana fa è arrivato con lo zaino squarciato; lo avevano derubato al dormitorio. Riconosco lo zaino giallo che gli ho dato. E' giovane e vigoroso, ma parla sottovoce. "Ho trovato lavoro in un tempio" "Dove?" "In un tempio... buddista. E' a Firenze". "Devi prendere il treno". "Sì. Non voglio i soldi ma il biglietto. Costa 22 euro". E' una storia che raccontano in tantissimi: viaggi improrogabili per ragioni serissime. A chi mi chiede soldi non dò mai più di 10 euro, a meno che non passino attraverso il nostro centro d'ascolto della Caritas. Gliene propongo 5, accetta e salgo a prenderli. Poi ne prendo 10 e glieli do. "Mi hai riconosciuto?" La domanda mi spiazza. Allora non ha solo bisogno di soldi ma anche di relazione. "Si, ho visto lo zaino". Mentre sta per uscire, Carmela, la mia immensa barista mi chiama: "E' avanzata una focaccia con la Nutella, dagliela". Lo rincorro e consegno; mi sorride. L'altra volta nello zaino avevo messo dei dolci di Carnevale.

3 commenti:

  1. sei un grande don, davvero! grazie...

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  2. ciao donpaolo (come sempre) hai molto da insegnarci e questo post è molto commovente e istruttivo.
    ciao!!!
    Claramarina

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  3. Grazie don per la semplicità con cui accogli queste persone che a volte guardo con diffidenza. Quando le vedo penso: "chissà cosa è successo"
    ...la perdita di una persona cara, un licenziamento, una malattia, possono portare tutti noi in queste situazioni....

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